venerdì 8 maggio 2015

569 Parole

569 Parole

Mi precipitai nell' atrio del palazzo per prendere l’ascensore, avvertii il suo bisogno….la distanza che ci separava era insormontabile, avevo bisogno di nuovo di lui, avevo bisogno di sentirmi tra le sue braccia, di sentire un suo bacio. Il litigio mi aveva sopraffatto, mi aveva calpestata, non riuscivo più a  sentire il mio essere, non riuscivo più a percepire la mia essenza, non riuscivo più a resistere senza un suo bacio, la sua lingua che toccava ed accarezzava la mia, come simbolo di una promessa.
Le scarpe mi facevano male, avevo le bolle che distruggevano i miei piedi, i talloni mi bruciavano, ed ogni passo verso la sua direzione era rallentato dai piccoli dolori che provavo, l’ascensore tardava ad arrivare, non riuscivo più a sopportare quell’attesa, spingevo più forte che potevo ed incessantemente il pulsante per far arrivare quel aggeggio che avrebbe colmato la nostra distanza, che avrebbe placato la mia esigenza.
Appena le porte si aprirono, mi fiondai all' interno, era popolato da circa 10 persone, ognuna aveva un aria indaffarata, molti avevano la mia stessa impazienza nell' aspettare, altri invece erano scocciati, forse non avevano avuto una bella giornata, forse anche loro come me, avevano il bisogno di toccare in quel preciso istante la persona che amavano.
Arrivata, incurante del dolore ai piedi, incurante degli sguardi della gente, comincia a camminare ad un passo sempre più deciso, avevo sicuramente l’aria di qualcuna che andava a prendersi quello che voleva, il petto fuoriusciva, le spalle erano dritte, il collo leggermente verso l’alto e in avanti come se in questo modo la mia testa potesse arrivare prima del mio corpo, in quel momento tutto di cui avevamo discusso risultava così superfluo, tutto così infantile.
Mi domandavo cosa avrebbe fatto lui nel momento in cui mi avesse rivista, nel momento in cui sarei entrata con prepotenza nel suo ufficio, per attirarlo a me e baciarlo con una bacio che solo io e lui eravamo in grado di darci. 
Camminavo e già immaginavo la scena, come se fossi in un film, immaginavo la sua faccia sorpresa, le sue mani che si bloccavano nel momento in cui sarei entrata, immaginavo cosa sarebbe avvenuto con una tale precisione, che non mi resi conto se tutto ciò era già avvenuto o era ancora tutto ancora disegnato nella mia mente.
Non feci annunciare la mia presenza al suo assistente, procedetti senza che lui avesse la possibilità di dirmi qualcosa, non avrei sopportato ancora un minuto in più senza lui, il suo assistente rimase con le mani in aria in segno di attesa e con la bocca spalancata, che accennava la sua voglia di dire qualcosa.
Entrai, ma ciò che vidi non era esattamente ciò che pochi secondi prima avevo immaginato, anzi…,lui era lì... indossava la camicia azzurra che io gli avevo regalato perché risaltava il suo incarnato, aveva l’orologio che avevamo comprato insieme quel giorno a Parigi, che attestava la sua potenza, la sua virilità, aveva il bracciale che simboleggiava la nostra unione……  potei osservare benissimo le sue braccia, perché circondavano e avvinghiavano con un avidità tale che pensavo mettesse solo nell’ afferrare ,nell’abbracciare  e nel baciare me, ma adesso erano strette su una schiena che chiaramente non era la mia.
Rimasi immobile a fissarli, impietrita da ciò che non volevo vedere ma ero  bloccata , i piedi che prima agoniavano non li sentivo più, il suolo sul quale ero ….mi sprofondava lentamente, lui si accorse di me, percepì le mie vibrazioni e gli occhi che prima erano chiusi e intenti a baciare con intensità l'altra, si fiondarono su di me, rimanemmo lì….a fissarci occhi negli occhi.


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